Chiapas

Chiapas

Dopo tre notti (due giorni) trascorsi a Città del Messico, si vola a Tuxtla Gutierrez, nel Chiapas. Da Chiapa de Corzo - e più precisamente dall'imbarcadero di Cahuare - inizia l'escurione in motobarca tra le pareti del Cañon de Sumidero alte fino a mille metri. Si prosegue poi per altri 45 km circa verso San Cristobal de las Casas, animata dai colori dei mercati indios. Non distante, a una dozzina di kilometri, Zinancantán e San Juan de Chamula, un luogo dalle atmosfere a dir poco particolari.

Verso Chamula l'ultimo tratto di strada è sterrato e si presenta assai difficoltoso: primo e significativo segnale al turista da parte della tribù di questo villaggio tzotzil. La sensazione è quella di entrare abusivamente in un altro territorio. Arriviamo in una piazzola che supponiamo essere il "centro" del paese, quello che i chamulani sentono probabilmente meno intimo perché luogo di lavoro, data l'affluenza del turismo. Molti di loro si organizzano vendendo oggetti di legno o di stoffa colorati.

Gli sguardi che ci rivolgono non sono rassicuranti, siamo gli unici visitatori, consapevoli di essere loro preda, oggetto da sfruttare. Anche i bambini più piccoli non sorridono senza un compenso in denaro. Come dire: "Qui niente è gratis". La macchina fotografica è bandita. Niente è gratis e niente foto. Il turista è spolpato, consumato fino all’osso dai chamulani, che comunque hanno talmente bisogno di lui fino a dover accettare la sua intrusione in chiesa: il loro luogo più sacro dove forse riescono ad trovare la forza di sopravvivere alla loro miseria (in termini materiali) e alla loro speranza. Fra le mura di questa chiesa stile spagnolo, esternamente allegra e festosa nei suoi disegni ornamentali tutti colorati, gli indios invocano un Cristo a noi sconosciuto.

Appena entrata in questa chiesa provo una improvvisa sensazione di stordimento: malgrado abbia già avuto informazioni attraverso letture e passaparola, rimango disorientata, anche dal mio stesso stupore. La chiesa è senza panche, una sorta di luogo di culto "open space", dove gli indios siedono sulla nuda terra, sparsi senza un ordine preciso, qualcuno su un mucchietto di paglia verde, ancora un po' fresca; qua e là ci sono gruppi di candele accese incollate al suolo; statue di santi ovunque, ma anche alberi e croci di legno grandi o piccole, secondo l'annata, se buona o cattiva. Diverse donne tengono legati a sé i loro bambini con il rebozo, lo scialle azzurro buono per qualunque esigenza. Alcune allattano. E' difficile dare l'età a questa gente, anche i bambini sembrano già grandi, sproporzionati dentro corpicini minuti.

Rimbombano litanie che mi penetrano nel cervello e si sovrappongono fra loro. L'odore è forte, aspro, indefinibile. I chamulani non vengono ad ascoltare la messa, non esiste la figura del prete, dell' intermediario, così ognuno canta e prega o piange suppliche strascicate e senza forma. I bambini più grandi giocano fra loro nelle zone più buie, forse per tenersi lontani dal pericolo di bruciarsi con le fiamme delle candele. Fasci di luce entrano dalle finestre per aggiungere un po' di chiarore a quello soffuso e sinistro delle fiammelle di fuoco.

I curanderos indossano un chamarro bianco, un poncho legato in vita da una cintura di cuoio o colorata, hanno il ruolo degli sciamani, dei guaritori. Sono loro gli intermediari a cui è richiesto di compiere il miracolo. Si servono di preghiere candenzate con ritmi precisi, tirando il respiro ad ogni ripresa; tengono il polso della persona malata seduta al loro fianco e non lesinano sull'attrezzatura: uova, galline vive e morte, semi, bottiglie piene o vuote di coca cola, croci, coltelli. Così manovrano abilmente la suggestione del malato.

Osservo in silenzio e con sgomento tutto questo, nessuno bada a noi qui all'interno di queste mura, ma non me la sento di inoltrarmi troppo, per una sorta di pudore. Un curandero modula la voce fino a trasformarla in un rumore selvaggio, inquietante, che non fa pensare a qualcosa di umano e vedo che sta sacrificando una gallina che si unisce a suo modo alla litania. La donna davanti a lui è in ginocchio e cade improvvisamente in trance.

Cerco con lo sguardo l'ingresso di questa chiesa, la luce fuori chiude prepotentemente le mie pupille fino a farmi percepire un sottile dolore, ci muoviamo evitando gli sguardi che ci scortano fino alla macchina. Abbiamo bisogno di depositare emozioni e pensieri , ma ci servono almeno un paio di chilometri...Da un racconto di viaggio di MC (estate 1999).

Avendo un'intera giornata a disposizione, da San Cristobal si possono raggiungere le cascate del Chiflon. Una volta sul posto, più di un chilometro di sentieri, ponticelli e scalette conducono alla vista dello spettacolare salto di oltre 120 metri della cascata principale o "Cascada Mayor", formata dal fiume San Vicente. Proseguendo in direzione del confine guatemalteco si arriva ai laghi di Montebello; sono più di 60 e sono immersi in un paesaggio molto suggestivo sulla strada che porta alla frontiera con il Guatemala. Non lontano dal parco di Montebello, si trovano l'area archeologica di Chinkultic e il villaggio indio di Amatenango.

Il giorno dopo si riparte da San Cristobal verso nord, per 145 km circa, lungo la strada che si snoda nella splendida natura del Chiapas per arrivare alle cascate di Agua Azul che si formano sul fiume Tulijia. Rimessisi in moto, dopo altri 70 km si giunge finalmente a Palenque il cui sito - per vastità e importanza - merita tutta la giornata successiva.

A circa 180 km sud-est da Palenque, corrrendo quasi paralleli al Rio Usumacinta che traccia il confine Messico-Guatemala, si giunge a Bonampak e Yaxchilán, due siti maya da poco aperti ai turisti, ancora fuori dai circuiti di massa, immersi in un' atmosfera unica. Per Bonampak basta l'auto (2 ore e mezza da Palenque, la strada è stata asfaltata ) ma per arrivare a Yaxchilán occorrono - dal bivio di San Javier - altri 40 km circa in direzione di Frontera Corozal (Echeverria) e di qui - in direzione nord-ovest - un'ora di navigazione (e un'altra ora per il ritorno) sul fiume Usumacinta. Dopo una notte ancora trascorsa sulla sponda messicana, il giorno successivo si risale con una lancia il fiume per circa mezz'ora e ci si lascia depositare sulla sponda opposta, a Bethel ci si trova in Guatemala, tappa successiva del viaggio.

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